Tra le tante iniziative di questi giorni a cui ho partecipato, una la voglio condividere con voi. A Caselette, in provincia di Torino, un piccolo comune posto all’ingresso del magico scenario della Val di Susa, è stato intitolato a Felicia e Peppino Impastato un parco molto bello e attrezzato. I bambini potranno giocarci e gli anziani prendere il sole. Intorno ad esso si svolgeranno attività educative e culturali sulla straordinaria vita di Peppino Impastato e di sua mamma, la altrettanto straordinaria Felicia.
Pensate un po’, in quel territorio agisce un’Associazione che ha scelto un nome chiaro, esplicito e diretto: “Associazione dei Calabresi di Alpignano e Caselette”, guidata magistralmente da un calabrese/piemontese, Pasquale Lo Tufo. La ‘ndrangheta, sempre più tentacolare, proprio dai Calabresi viene combattuta a viso aperto in quel territorio e hanno scelto di farlo sull’esempio di Peppino Impastato.
Peppino ha infatti rotto con i cliché familistici e ha proposto un percorso di liberazione nella sua comunità di Cinisi, antesignano di tante modernità positive: negli anni Sessanta e Settanta ha investito sulla bellezza e sull’ambiente, ha colto la minaccia della mafia degli appalti e del riciclaggio, della droga e delle collusioni con il potere, ha spezzato il circuito dell’omertà e del negazionismo della presenza mafiosa, ha compreso che lo sviluppo deve essere sostenibile ambientalmente, socialmente e senza il pestifero condizionamento mafioso.
Un bell’esempio per chi nel Nord deve fare un percorso di liberazione, a cominciare da una perniciosa omertà e da un negazionismo di maniera, quel negazionismo spesso retorico e collusivo.
Anche Felicia è un esempio mirabile. Una donna e una mamma che ha scelto di accompagnare il figlio nel suo percorso di emancipazione e, una volta brutalmente ucciso, con una modalità che al solo pensarci viene da impazzire, non ha ripiegato sulla vendetta mafiosa che i propri parenti italoamericani di un certo peso le proponevano, ma si è affidata alla via dello Stato democratico, che all’inizio cinicamente le ha voltato le spalle, accusando Peppino di essere un suicida o addirittura un terrorista. Felicia, supportata dall’altro figlio Giovanni, dai compagni di Peppino e dal Centro Impastato, non è tornata sui suoi passi, ma ha continuato dritta per la sua strada di giustizia e legalità, sino a quando la Commissione antimafia da me presieduta le ha consegnato il primo documento della storia parlamentare dove si svelavano i depistaggi e si evidenziava il ruolo pulito ed esemplare di Peppino (Clicca qui per leggere il documento ).
Ma in quel territorio un esempio attuale di impegno antimafia è diventato proprio il fratello di Peppino, Giovanni, che con caparbietà e intelligenza ha saputo reintepretare l’impegno del fratello e lo ha messo al servizio di quanti nella storia dell’oggi sognano e si battono per la liberazione dalle mafie.
Giovanni Impastato quel territorio piemontese e del Nord in generale lo sta battendo metro per metro per proporre le idee e i percorsi di “Casa Memoria”. Un percorso di legalità costituzionale e di sviluppo sostenibile che aggrega e dà un sostegno reale anche a sindaci come quello di Caselette, Pacifico Banchieri, che ha fatto una scelta per niente scontata culturalmente, socialmente e politicamente decidendo di attrezzare la propria comunità degli strumenti adatti per conoscere e colpire la presenza mafiosa.
Essere a Caselette mi ha coinvolto e, vi confesso, anche commosso. Mi ha riportato a quell’incontro con Felicia, ai dialoghi con lei, al coraggio che ci trasmetteva e al significato che ha saputo dare a quella relazione della Commissione: “Mi avete fatto rinascere mio figlio”.