Ritorna il tema dell’ergastolo ostativo. Rifanno capolino immediatamente i conflitti a somma zero tra garantisti e giustizialisti. Nella lotta alla mafia, così si pagano prezzi incalcolabili. L’8 novembre è la data scelta dalla Corte Costituzionale, diversi mesi fa, entro la quale il Parlamento era chiamato a intervenire su un aspetto a rischio di incostituzionalità. La Camera dei deputati aveva varato un testo, il Senato non è riuscito a migliorarlo e a completare l’iter legislativo per via dello scioglimento anticipato delle Camere. Il nuovo Governo ha scelto di ripartire dal testo approvato nella scorsa legislatura. Il dibattito rimane aperto.
Già altre volte ho scritto sulla necessità di non disarticolare o indebolire questo istituto, mettendo al centro la natura fattuale del vincolo associativo che i mafiosi conservano per tutta la vita. Senza spezzare questo vincolo prima di concedere le misure premiali, giustamente previste per i detenuti che fanno un percorso rieducativo, rischiamo di non comprendere la portata della norma voluta da Falcone e di indebolire il sistema del doppio binario contenuto nel codice antimafia, a cui sono molto legato per avervi dato il mio contributo da relatorein Parlamento.
Con un articolo, di recente, sono tornato su questo argomento.
Lo sottopongo alla vostra attenzione, provando a spiegare bene la concretezza del vincolo associativo e come questo si sovrapponga anche alle pur decisive considerazioni di carattere valoriale ed etico.
Sottopongo altresì alla vostra attenzione tre documenti, uno della Fondazione Caponnetto, uno della Fondazione Falcone e l’altro del Centro Studi Pio La Torre, che arricchiscono l’analisi e la proposta, per consentire al Parlamento di fare un buon intervento, all’altezza del compito di non abbassare la guardia e di non concedere alle mafie altro spazio, più di quello che già oggi hanno nei territori e nel loro sistema di collusione con l’economia e la politica.