Sui Testimoni di Giustizia qualcosa non va. Sembra aleggiare ancora una volta una sorta di pregiudizio che colpisce la dignità e la possibilità dei Testimoni di Giustizia di essere considerati una straordinaria risorsa della Democrazia nella lotta alle mafie e non un problema da scansare o addirittura da ridimensionare.
Per anni e anni abbiamo cercato in tutti i modi di far comprendere che i Testimoni sono cittadini coraggiosi che scelgono di rompere con l’omertà e denunciano con fatti circostanziati le mafie, mettendo in gioco tutto di sé, della propria attività professionale e del destino delle loro stesse famiglie.
Prima venivano, spesso artatamente, confusi con i collaboratori di giustizia; poi, con impegno e determinazione, si sono ottenuti risultati positivi in diversi interventi in Parlamento, giungendo a una normativa quadro finalmente di alto valore; adesso si rischia di rovinare tutto, come spesso accade, nella fase applicativa.
Di recente è stato emanato un Decreto Applicativo della Riforma della Legge sui Testimoni di Giustizia che lascia basiti.
Addirittura si va in netto contrasto con la norma primaria, cioè l’articolo 7, comma 1, lettera h), della Legge n. 6 dell’11 gennaio 2018 e non si tiene conto dei pareri espressi in Parlamento nelle Commissioni di merito e nella stessa Commissione Antimafia.
Lo scorso 21 Dicembre è stato pubblicato con estremo ritardo un regolamento adottato con il Decreto n. 174 del 2020, emanato addirittura il 7 Agosto, che disciplina, sul piano nazionale, le assunzioni nella Pubblica Amministrazione dei Testimoni. In Sicilia si era intervenuto in anticipo, anni fa, con una normativa che su questo aspetto ha dato ottimi risultati e che ha ispirato l’iter legislativo in Parlamento.
In questo Decreto di fatto si restringe molto questa scelta a danno dei figli e di fatto la si cancella soprattutto per i Testimoni “storici”, comunque costituito da un numero ridotto e nei confronti dei quali riemergono un certo accanimento e una ostilità insopportabile.
Sento il dovere di riepilogare alcune considerazioni, visto che, con altri Parlamentari, ho sempre seguito passo passo la condizione di questi Testimoni e il percorso legislativo, sia in Commissione Antimafia sia in Parlamento.
1) La riforma quadro interviene per fare tesoro degli errori e dell’esperienza maturata sul campo, per cui bisogna applicarla con coerenza e particolare cura, sempre e non solo quando i Testimoni sono “utili” durante la fase dei processi contro i boss mafiosi. Il rischio che queste persone affrontano vale purtroppo per tutta la vita, quindi metterla in pericolo con un approccio burocratico alla protezione non è tollerabile.
2) La sicurezza, il reinserimento lavorativo, il diritto alla casa e ai servizi di welfare (sanità, scuola, assistenza sociale…) vanno posti al centro delle scelte dello Stato che prende in carico la difficilissima condizione dei Testimoni di giustizia. L’attenzione deve essere gestita con delicatezza e con un approccio positivo e promozionale in modo da far comprendere concretamente e chiaramente da che parte sta lo Stato nella lotta alle mafie.
3) Il collocamento nella Pubblica Amministrazione non è un privilegio ma una soluzione intelligente che rompe la barriera micidiale dell’emarginazione in cui i Testimoni sono spesso costretti a vivere, a causa dell’isolamento e della costante persecuzione mafiosa, che incidono più di quanto si possa pensare sulla tenuta e sulla dignità dei Testimoni e sulla stessa credibilità dello Stato.
È il momento pertanto di mettersi al servizio di una applicazione della legge quadro di riforma dei Testimoni di Giustizia coerente e rigorosa senza indugi e senza ritardi.