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DIPENDENZE: LECTIO MAGISTRALIS ALL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI MAGNA GRAECIA DI CATANZARO
Dicembre 11 @ 3:00 pm - 3:30 pm
Di seguito il mio intervento al Master di II Livello in Medicina e Psicopatologia delle Dipendenze organizzato dalla Scuola di Alta Formazione dell’Università dell’università Magna Grescia di Catanzaro.
IL CONTESTO: UNA NUOVA GOVERNANCE MONDIALE DEVE FARE I CONTI CON LE DIPENDENZE
Le Dipendenze sono un passaggio stretto e tragico del cammino dell’umanità. Nella scala delle priorità su cui misurare forme nuove di governance mondiale, accanto alle guerre, alle disuguaglianze, al cambiamento climatico, alle sfide dell’intelligenza artificiale, le Dipendenze vanno considerate alla stessa stregua. Dobbiamo pertanto imparare a fare i conti con esse, senza schemi vecchi e approcci riduttivi e semplicistici.
Le Dipendenze oggi sono tante e le più diverse, si parla infatti di dipendenze da sostanze e da comportamenti. Entrambe le due forme di dipendenza sono ormai diffuse, soprattutto tra i giovani e giovanissimi. Le Dipendenze hanno infatti abbattuto qualunque barriera legata alla fascia di età e alla condizione familiare e sociale. Siamo consapevoli che sta prevalendo sempre più il policonsumo e che con l’aumento dei principi attivi delle varie sostanze si sta mettendo a rischio il benessere neurologico, psicologico e sociale di intere generazioni. Accanto alle antiche forme del disagio sociale, sia per eccesso di marginalità, sia per eccesso di aspettative, oggi si aggiungono l’uso e l’abuso di sostanze e le varie forme di dipendenza dovute all’incapacità di gestire il dolore, il senso di vuoto, la noia.
Sul versante dell’offerta, sappiamo pure che il narcotraffico è diventato così potente e pericoloso economicamente da mettere in pericolo la capacità degli Stati di agire in autonomia, di avere un’economia in grado di essere realmente libera, la stessa società di crescere senza condizionamenti così pesanti e la democrazia di articolarsi senza le collusioni che ne deviano il loro corso. Basti pensare al ruolo della ‘ndrangheta che è riuscita a conquistarsi un rapporto diretto con i cartelli del narcotraffico perché è in grado non solo di essere affidabile e coprire un vasto mercato mondiale, ma soprattutto perché è capace di fornire il “servizio riciclaggio” così importante e decisivo per smaltire la montagna di contante accumulata.
In Italia e in molti altri Paesi, purtroppo, nei confronti delle Dipendenze si procede con un approccio intermittente. L’attenzione si accende quando l’emergenza esplode, si spegne quando i dati sulla mortalità calano o vengono di fatto non adeguatamente rilevati, come ad esempio succede con le cause di morte a seguito di patologie cardiovascolari soprattutto in età giovanile che l’uso massiccio del crack sta causando. Non mancano divisioni e pressappochismi quando prevalgono la strumentalizzazione e la poca conoscenza. Più di recente, il rischio è che si rimanga cristallizzati in un ennesimo scontro dai caratteri molto astratti e tardo-ideologici sul tema della legalizzazione o meno delle sostanze da cannabis.
Dobbiamo allora tornare a porci delle domande di fondo. Come affrontare questa nuova fase della cura delle dipendenze? Come evitare che il confronto riaperto dopo anni di silenzio si limiti solo al dibattito sulla liceità o meno dell’uso delle sostanze? Come rilanciare l’esperienza di tanti operatori qualificati e di alto livello, maturata sul campo in anni di duro lavoro all’interno dei Servizi?
Siamo alla soglia dei trentacinque anni dal Testo unico. Siamo vicini ai venticinque anni dalla legge n. 45 del 1999 che porta il mio nome. Adesso è necessario mantenere fermi alcuni punti fondamentali e migliorare e qualificare le politiche e le strategie, ricercare e innovare, in modo da consegnare al Paese e alla stessa Europa una rete di Servizi quanto più possibile avanzata.
Saprà la politica essere all’altezza della domanda di nuova progettualità che si richiede da anni? Saprà tenersi lontana dalle semplificazioni e dagli scontri ideologici?
È necessario più che mai, allora, chiamare i decisori politici a vivere questa fase con un piglio più progettuale, serio e condiviso, che si può ottenere solo se si assume uno stile di raccordo costante con quanti, nei Servizi Pubblici e le loro Società scientifiche, nelle Comunità Terapeutiche e nei Servizi di Prossimità, con le loro Reti territoriali e nazionali, hanno maturato la capacità di ripensare strategie e modelli di intervento.
Alcune considerazioni sistemiche al riguardo.
La prima considerazione è confermata dai vari report pubblicati recentemente: non si può fare a meno dei Serd come espressione centrale e virtuosa della Sanità Pubblica nel campo della prevenzione, cura e riabilitazione delle Dipendenze. Da questa considerazione deve scaturire una strategia di rilancio e di miglioramento del ruolo dei Serd nel sistema della Sanità pubblica territoriale.
La seconda considerazione attiene a un dato allarmante: di recente, l’8 Novembre, lo stesso Ministro della Salute ha avvertito che gli operatori pubblici dei Serd sono scesi sotto la soglia dei 6.000 operatori. Abbiamo pertanto un tragico paradosso per cui all’aumento delle persone che ricorrono ai servizi dei Serd corrisponde un calo continuo degli operatori. Bisogna mettere al centro questa professionalità e la necessità di cambiare passo nell’inserire una nuova generazione di operatori delle Dipendenze.
La terza considerazione: è un po’ più politica, ma vi assicuro molto onesta e oggettiva. Non siamo di fronte ad una scelta alla luce del sole che passa da un confronto pubblico in Parlamento sul fatto innegabile che si vuole ridimensionare il Servizio Sanitario Nazionale Pubblico, universale e capillare. No, si è scelta la strada politica dell’agire in modo strisciante per disarticolare la sanità pubblica, facendo venire meno innanzitutto le risorse finanziarie e quelle del personale, tenendo gli operatori sanitari a reddito molto più basso di quello europeo e non coprendo più le piante organiche, invece di ridefinirli con piani appropriati e aderenti alla domanda evoluta e diffusa di salute, come nel caso delle Dipendenze.
IL CRITERIO-GUIDA: L’INTEGRAZIONE
Qual è il criterio-guida che mi ha orientato nel definire la legge 45/1999, per strutturare quella riforma di cui ancora oggi tanto si parla? Il nostro Paese ha una rete di Servizi Pubblici e di collaborazione con le Comunità Terapeutiche e i Servizi di Prossimità che costituisce un unicum positivo in Europa e nel contesto internazionale, perché ha fatto della integrazione tra più professionalità e tra più percorsi di cura la linea guida della presa in carico personalizzata prevedendo anche la virtuosa e costante integrazione con le Comunità Terapeutiche e i Servizi di Prossimità. Mantenere in vita la Rete dei Servizi e rigenerarne le potenzialità è un impegno a cui sentiamo di dedicarci con passione e progettualità.
Il ricorso alla strategia dell’integrazione ci ha consentito di riorganizzare i Sert e le Comunità Terapeutiche, per misurarci con la sfida di riuscire a passare a uno stadio di eccellenza nella prevenzione e cura delle tossicodipendenze.
1 – Integrazione tra le diverse professioni sanitarie e tra esse e quelle sociali.
2 – Integrazione dei percorsi di cura tra quelli più psicoterapeutici ed educativi e quelli, prima molto avversati, che avevano un carattere più terapeutico- farmacologico.
3 – Integrazione tra Pubblico e Privato sociale nel costruire una rete avanzata dei Servizi, coinvolgendo a pieno titolo nel rapporto con gli insostituibili Serd le Comunità terapeutiche e i Servizi di Prossimità.
I Serd e le Comunità Terapeutiche sulla integrazione hanno maturato capacità terapeutiche senza precedenti nel contesto europeo e mondiale. Hanno sviluppato inoltre ricerche maturate sul campo, che hanno ricevuto l’attenzione della comunità scientifica internazionale. Il nostro sistema dei Servizi delle Dipendenze è diventato così un presidio sanitario, sociale, educativo e culturale di enorme valore, paradigmatico per ripensare e riprogettare il futuro della stessa sanità in altri Servizi, soprattutto territoriali.
LE LINEE DI INTERVENTO
Allora vediamo alcune priorità su cui misurare il nostro confronto su un piano più operativo:
* la prima cosa da fare è battersi per sostituire il personale che va in pensione. Siamo fermi alla legge 45/99 quando fummo proprio noi con la Legge Lumia ad inserire migliaia di operatori dando loro stabilità, dignità e progressione piena di carriera. Adesso serve con urgenza riportare nei Servizi Pubblici dei Serd almeno 8.000 operatori, tenendo presente che la soglia corretta per dare ai Serd una possibilità moderna di prevenzione e cura si aggira intorno ai 10.000 operatori.
* La seconda cosa da fare riguarda il riconoscimento dell’autonomia dipartimentale dei Serd, che può essere realizzata in diverse forme, ad esempio: con tre dipartimenti separati (delle Dipendenze, del Disagio mentale, della Neuropsichiatria infantile) che si coordinano alla pari. Oppure si può prevedere un unico Dipartimento, nel quale tuttavia i tre ambiti siano posti sempre alla pari, con possibilità di autonomia dirigenziale di ogni singolo ambito. Su questo aspetto va attivato un confronto con i rappresentanti delle Regioni per far conoscere questa indicazione.
* La terza cosa da fare è attivare un confronto più specifico su come realizzare la specializzazione universitaria della Medicina delle Dipendenze, come pure inserire nei percorsi universitari degli altri operatori dei Serd la specifica materia delle Dipendenze (tra gli psicologi, infettivologi, farmaceutici, infermieri, sociologi, educatori, assistenti sociali…). Abbiamo già un esempio, a cui abbiamo dato un contributo decisivo nella scorsa legislatura, con la legge sulla specializzazione nelle malattie palliative.
* La quarta cosa da fare è ripristinare realmente il Fondo Nazionale sulle Dipendenze previsto nella legge 45/1999, che adesso il Governo ha inserito solo fittiziamente nella legge di bilancio, togliendo infatti i fondi alle risorse previste per il contrasto del gioco d’azzardo già destinate alle Regioni, senza tra l’altro prevedere un confronto con le Società scientifiche sugli obiettivi da realizzare e sui criteri da adottare per evitare che diventi un Fondo esiguo, clientelare e marcato ideologicamente.
* La quinta cosa da fare è sostenere l’alta integrazione con le Comunità Terapeutiche e i Servizi di Prossimità di cui avvertiamo una crescita e una disponibilità verso il rapporto con i Serd. Questo deve avvenire senza tuttavia avventurarsi in percorsi che scavalcano i Serd nel presiedere alla programmazione e al controllo dei percorsi terapeutici.
* La sesta cosa da fare è quella di mettere mano alla realizzazione concreta della Prevenzione. C’è già un Piano Nazionale, bisogna realizzarlo in modo che passando all’operatività possiamo comprendere meglio problemi e difficoltà, successi e nuove piste d’azione. Bisogna sollecitare sia il Governo sia soprattutto le Regioni a rompere gli indugi e a realizzare azioni concrete sulla prevenzione in collaborazione con le Società Scientifiche e le Reti delle Comunità Terapeutiche e dei Servizi di Prossimità.
* La settima cosa concreta da fare riguarda la cura delle Dipendenze in carcere. È chiaro che questo deve avvenire innanzitutto al di fuori dei tradizionali istituti di pena o in casi particolari in circuiti differenziati. Sarebbe a tal proposito un grave errore pensare che si possano scavalcare i Serd per affidare direttamente all’esterno la cura dei soggetti dipendenti in regime carcerario. Ecco, l’alta integrazione è l’unica soluzione possibile e costituzionalmente in grado di dare una vera risposta ad una condizione sempre più drammatica e urgente.
Infine, non propongo nessuna conclusione, se non rivolgere un incoraggiamento agli operatori in formazione a scommettere sulla professione delle Dipendenze: ne abbiamo bisogno. Questo sapere sarà sempre più decisivo nella cura e nella prevenzione di una patologia che ci accompagnerà ancora per molti anni e su cui l’umanità è chiamata a dare il meglio di sé.