Una data da ricordare bene: 20 dicembre 2000. Anche il luogo: Palermo. Perché? In quei giorni l’ONU ha promosso un momento di svolta della propria attività internazionale. Per la prima volta, la lotta alle mafie è uscita dai confini soprattutto italiani e americani per diventare un impegno comune a tutti i Paesi. Un risultato per niente scontato: per anni il negazionismo o il minimalismo hanno caratterizzato l’approccio degli Stati nel riconoscere le mafie come una reale minaccia distruttiva di valori, di diritti, di economie e di dignità sociale ed esistenziale.
Finalmente l’ONU usciva dal suo tran-tran spesso sterile e contraddittorio per assumere un compito di guida sulle grandi sfide che dilaniano l’umanità.
Allora fu scelta Palermo, non per sottolineare ancora una volta la devastante presenza della mafia in Sicilia, ma perché da Palermo si era messo in moto un cammino antimafia inedito ed esemplare.
Il passo costituente era stato fatto da Pio La Torre, che ha saputo inserire nell’agenda politica e parlamentare italiana il tanto discusso reato associativo, ormai oggi per noi assodato e conosciuto come 416-bis ma per niente tuttora digerito sul piano internazionale, e l’aggressione dei patrimoni con il sequestro, la confisca e il riuso dei beni sottratti alla mafia, anche questo un tema delicato che ha bisogno di una solida e condivisa cornice sul piano internazionale.
Il secondo passo, ancora a Palermo, è stato il pool antimafia, grazie all’intuizione geniale del giudice Rocco Chinnici e poi alla capacità di direzione magistrale di Antonino Caponnetto, un modello di lavoro che ci è invidiato in tutto il mondo e che andrebbe strutturato proprio in sede ONU con squadre investigative e giudiziarie capaci di lavorare insieme.
La terza tappa decisiva è stata l’esperienza dirompente di Giovanni Falcone, che ha saputo costruire quello che chiamiamo sistema del “doppio binario”, cioè un percorso legislativo e ordinamentale tutto dedicato a norme specifiche per la lotta alla mafia. Oggi è paradossale che in Italia abbiamo problemi a tenere questo passo, come ad esempio sulle misure di prevenzione patrimoniali e sulle interdittive antimafia, mentre sul piano internazionale si guarda con rinnovato interesse a questo tipo di approccio normativo.
Nel dicembre del 2000, ero Presidente della Commissione Antimafia e ho vissuto quel momento con emozione e consapevolezza della portata della sfida, lavorando giorno e notte per far comprendere che era giunto il tempo di compiere un salto di qualità, in grado di colpire le mafie nel cuore della loro forza internazionale, a cominciare dal grande e insidioso fenomeno del riciclaggio.
A che punto siamo adesso? Le mafie crescono e sono sempre più globalizzate, mentre le antimafie rimangono ancora eccessivamente fragili e localizzate. C’è in sostanza un’asimmetria tra le mafie e le forze chiamate a contrastarle. Inoltre, le collusioni con gli Stati e le economie sono cresciute per via soprattutto della finanziarizzazione dell’economia, che ha messo in ginocchio i processi produttivi reali e gli apparati di controllo, a vantaggio delle speculazioni e dei passaggi in rete di denaro, al punto che in tempo reale si spostano somme da capogiro, mentre le antimafie investigative e giudiziarie devono seguire procedure lente e farraginose.
Ecco perché riprendere il cammino di Palermo, a vent’anni dalla Convenzione con i Protocolli ONU allora approvati, è più che mai attuale e necessario. A Vienna, nell’ottobre scorso, sono state approvate due nuove risoluzioni proposte proprio dall’Italia: la prima per avviare il “Meccanismo di Revisione” in modo da verificare il grado di attuazione nei singoli Paesi degli strumenti basilari della lotta alla mafia; la seconda, chiamata “Risoluzione Falcone”, dove si individuano gli strumenti più avanzati di prevenzione e repressione, alla luce delle nuove forme assunte dalla criminalità mafiosa.
Il salto di qualità è pertanto possibile, ma può scaturire soltanto da almeno quattro scelte, una più difficile dell’altra, ma tutte insieme in grado di incidere in tempi brevi e con risultati senza precedenti.
- Comprendere e aggredire la dimensione economica delle mafie che si nutre di finanziarizzazione dell’economia e del connesso riciclaggio. Nella nuova Risoluzione delle Nazioni Unite, si parla finalmente di “dimensione economica” della criminalità organizzata transnazionale, per cui vanno messi in rete tutti i mezzi e le informazioni a cominciare da quelli che sono ormai stati sperimentati in Paesi come il nostro.
- Fare dei beni confiscati una vera risorsa trasparente ed efficace di sviluppo sostenibile. Anche su questo la nuova Risoluzione ONU ha compreso la necessità di voltare pagina per evitare che la lotta alle mafie sia distaccata dai profili sociali e dalla promozione dei diritti.
- Produrre una svolta anche nella cooperazione internazionale tra le forze investigative e quelle giudiziarie. La Risoluzione ONU ha spianato la strada a una modalità di lavoro repressiva che ha bisogno di sistematicità e di una capacità di azione da svolgere in tempo reale con squadre investigative e giudiziarie comuni.
- Bisogna comprendere la portata devastante del cybercrime e dei reati connessi. Anche su questo punto la risoluzione ONU prova a definire dei punti concreti di lavoro per misurarsi con mafie e terrorismi che sanno manovrare bene le leve delle reti in funzione dei traffici illeciti: dalla droga ai beni culturali, dai migranti alla produzione e circolazione delle armi, tanto per citare alcuni settori.
Naturalmente, il cammino non sarà semplice, come è stato già dimostrato in questi vent’anni. Pertanto, niente trionfalismi in questo anniversario e niente retorica celebrativa. C’è molto da lavorare per fare della lotta alla mafia una vera sfida globale. Anche l’ONU deve cambiare passo per diventare una realtà più decisiva e così l’Europa deve comprendere che è ormai maturo il tempo di darsi un assetto Federale e costruire un vero spazio comune antimafia e antiterrorismo. Facciamo allora di questa importante ricorrenza una giornata di memoria ma anche di rinnovato impegno.