La povertà in Italia c’è e si diffonde sempre più. C’è la povertà assoluta ma anche quella relativa è grave.
L’ISTAT ne dà conto in modo scientifico nel suo ultimo report. Allo stesso modo EUROSTAT ha diffuso dati allarmanti sulle caratteristiche preoccupanti della povertà presente in Italia. Ma basta aprire gli occhi e guardarsi intorno, agli angoli delle strade delle nostre città, davanti alle chiese o alle mense della Caritas, nelle stazioni dei treni e delle metropolitane, per capire quanto è diffusa e devastante. Non possiamo poi trascurare le tante ragazze e i tanti ragazzi che abbandonano prematuramente l’obbligo scolastico, o ancora le molte, troppe persone che rinunciano a curarsi a causa di una sanità pubblica volutamente ridotta al lumicino. Chi è impegnato nel Volontariato tocca con mano quanto la realtà emerga in tutta la sua drammaticità esistenziale e sociale.
Vediamo alcuni dati, cercando di sottrarci all’assuefazione alla lettura di notizie di questo tipo:
- La percentuale di famiglie in povertà assoluta è del 10,2% al Sud, del 7,9% al Nord e del 6,7% al Centro.
- I minori in povertà assoluta sono 1,29 mln, pari al 13,8% sul totale dei minori, valore più elevato dal 2014.
- La quota di famiglie con persona di riferimento operaio o assimilato in povertà assoluta è del 16,5% (era del 14,7% nel 2022).
- In Italia il 34% delle persone è a rischio povertà mentre la media Ue si attesta 20% .
- Nel 2023 il 20% degli adulti a rischio povertà hanno riferito di avere avuto una cattiva situazione finanziaria già nella propria famiglia di origine.
- Relativamente al rischio di ereditare la situazione di povertà, l’Italia si colloca al terzo posto in Ue, dopo Romania e Bulgaria
In sostanza, la discesa delle scale verso la povertà è ben segnata: si inizia dall’essere nati in una famiglia povera o di operai, si scende ancor di più se si ha una bassa scolarizzazione. Il resto della scala è costituito da lavoretti precari, il costo dell’affitto, la nascita di uno o più figli…
Allora che fare? Ognuno ha un compito per avviarsi lungo la scala, sebbene irta di ostacoli, della liberazione dalla povertà e dalla miseria che la circonda.
1. I primi gradini da salire riguardano ognuno di noi. Liberare il Paese dalla povertà richiede una sorta di conversione interiore per allontanare l’egoismo, evitare gli sprechi e la sopraffazione, sino all’odiosa e rovinosa evasione fiscale o alla negazione dei diritti elementari soprattutto se si è responsabili di una attività aziendale.
2. I gradini successivi da percorrere chiamano in gioco complessivamente la società, perché è più che mai indispensabile stabilire quale sviluppo vogliamo promuovere: quello quantitativo, che mette in conto vette di ricchezze e abissi di povertà, azzerando il benessere del ceto medio e le opportunità di ripresa per il ceto più in difficoltà, oppure vogliamo gettare finalmente le basi per lo sviluppo sostenibile, quello cioè che si realizza quando sono presenti i due valori-criteri guida della sostenibilità sociale e ambientale? Anche i vari “corpi intermedi” (dal terzo settore, ai sindacati, alle chiese e così via) devono risvegliarsi dal torpore o dalla frenesia “dell’io comunicativo” per animare percorsi educativi e politici di reale liberazione dalle povertà.
3. Vi sono poi i gradini più alti, quelli che piegano le gambe e rendono il respiro affannoso per le difficoltà che si incontrano: ebbene, spetta alla classe dirigente economica e a quella politica salirli. La classe dirigente economica deve avvertire il compito di realizzare lo sviluppo sostenibile nelle attività produttive, senza arricchirsi in modo spropositato, senza disseminare discriminazioni, disuguaglianze di reddito, generazionali, di genere e territoriali, senza causare danni ambientali. Anche la classe politica non può sfuggire all’arduo e insostituibile compito di aprire e accompagnare il percorso di formazione e realizzazione dello sviluppo sostenibile attraverso la selezione di dirigenti che sappiano realmente coniugare, attraverso riforme radicali, la Legalità Costituzionale e lo Sviluppo sostenibile. Per entrambe le classi dirigenti, infatti, vale il principio base che la socialità e l’ambiente non sono problemi inevitabili, semmai sono risorse per vivere tutti meglio in benessere, fraternità, pace e giustizia.
4. Gli ultimi e più faticosissimi gradini spettano alle classi dirigenti europee. Non si può lasciare l’Unione Europea nelle attuali condizioni, in cui ogni Paese si autoproclama stupidamente sovrano nel realizzare un proprio e presunto modello di sviluppo. I risultati sono infatti disastrosi e spingono l’Europa verso la marginalità economica e geopolitica, a confronto con i processi micidiali dell’attuale e ingiusta globalizzazione.
Le sfide della pace, del cambiamento climatico, della intelligenza artificiale, della lotta alle discriminazioni, alle dipendenze e alle mafie che alimentano povertà e miserie richiedono il passaggio verso gli Stati Uniti d’Europa ad assetto Federale, in modo che l’Europa sia realmente unita nel promuovere il welfare community e la liberazione dalla povertà interna, adoperandosi per eliminare quella globale.
Di seguito i Report pubblicati da ISTAT e EUROSTAT.