La Route Estiva organizzata dal MoVI Campania che quest’anno si è svolta nella splendida cornice del Parco Nazionale della Sila, nel comune di Lorica, è uno dei più importanti momenti di incontro del Volantariato Organizzato.
Fare “route” implica il camminare insieme, fianco a fianco, rompere la gerarchia dei ruoli e della formazione classica per rimettere al centro la relazione, i legami, la prossimità.
Un evento che vuole portare a sintesi e migliorare quelli che sono da sempre i valori fondamentali del volontariato, ben rappresentati già dal 1978 dal Movimento di Volontariato Italiano ovvero la gratuità, la spontaneità e l’azione politica per il cambiamento.
Quelli che seguono sono alcuni spunti di riflessione proposti nel mio intervento nella giornata del 3 agosto scorso incentrata sul rapporto tra politica e volontariato.
APPUNTI E STIMOLI PER UNA RIFLESSIONE di Giuseppe Lumia
La politica nel suo complesso è sicuramente in crisi. Non c’è dubbio. Le evidenze sono continue e diffuse.
Bisogna interrogarsi sui caratteri di questa crisi e sui possibili percorsi di cura.
Più in profondità, bisogna chiedersi se ci troviamo di fronte “ad una fine o ad una trasformazione di un mito”.
Pertanto la questione da porre è se la crisi è da interpretarsi:
• come una realtà in declino inesorabile?
• come una realtà in profonda trasformazione?
Dobbiamo avere la consapevolezza che la politica era la locomotiva della storia moderna, la dimensione umana più avanti di qualunque altro settore della società. Era più avanti dell’economia, più avanti dei cittadini, più avanti di qualsiasi altro potere, compreso quello religioso. Nella politica infatti c’erano gli ideali, la progettualità, la classe dirigente, l’organizzazione, il radicamento per raggiungere obiettivi anche opposti:
- da un lato, per distruggere libertà, dignità, diritti e democrazie con metodi violenti e autoritari;
- dall’altro, per liberare la società da ingiustizie e oppressioni e guidarla verso strade di emancipazione, di giustizia, di sviluppo e di democrazia avanzata.
Dobbiamo avere l’onestà intellettuale di riconoscere che oggi, invece, la politica è purtroppo l’ultimo vagone della società. Non guida ma segue. Segue gli umori istintivi dei cittadini, segue i processi dell’economia finanziaria, segue l’implodere di conflitti, tutt’al più sonda piuttosto che orientare, progettare e guidare. In sintesi: non emancipa ma insegue le pulsioni più tremende. Non progetta ma procede a tentoni. Non forma le classi dirigenti ma le coopta in vari cerchi autoreferenziali.
E così ora ci troviamo dal “Noi politica principale locomotiva” “all’Io politica ultimo carro”…
Da dove ripensare, riprogettare, rifare il pensiero politico e la sua dimensione relazionale, progettuale ed organizzativa?
Quando si è in crisi la cura può avere successo se si entra nell’ottica del ripartire dalla società. Immergendosi “all’origine della crisi” nei più duri e contraddittori contesti di disagio ed emarginazione e andando così via via alle “fonti della speranza vissuta e praticata” delle innovazioni relazionali, culturali, economici, sociali e globali:
- nel contesto innanzitutto delle disuguaglianze di reddito, generazionali, di genere e territoriali.
- nel contesto delle drammatiche sfide costituite dalle povertà, dalle guerre, dal cambiamento climatico, dalle dipendenze, dalle mafie, dall’intelligenza artificiale.
- nel contesto delle trasformazioni dei saperi, dei linguaggi, dei bisogni interiori, delle dinamiche psico-sociali.
- nel contesto delle innovazioni del welfare comunitario, del sapere condiviso, della partecipazione territoriale, della cooperazione internazionale, dello sviluppo sostenibile socialmente e ambientalmente.
Quattro sono le dimensioni che fanno da collante di un percorso di cura e rilancio della politica per aiutare l’umanità ad entrare, in omaggio a Gioacchino da Fiore, “nell’età dello Spirito”:
1) L’Identità post-ideologica “del già e del non ancora”, una sorta di spiritualità della politica che sia sempre dialogica, ricca di valori, di visioni, di ideali e di ancoraggi seri alla società e in ascolto delle ansie e speranze del nostro tempo.
2) Il radicamento territoriale ben definito anche nelle sue sperimentazioni, nei suoi caratteri valoriali, progettuali e organizzativi, usando il metodo del “con” e non del “per” e avendo come bussola la Carta Costituzionale e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, man mano declinate da ispirazioni attuali ed emancipative e di liberazione interiore e sociale.
3) La formazione e la selezione della classe dirigente in grado di produrre empatia sociale, intelligenza emotiva, partecipazione diffusa e capacità di governo del cambiamento usando il metodo della condivisione con i soggetti sociali che già praticano il cambiamento.
4) Il fare propri i nuovi linguaggi e saperi relazionali e sociali. Basti pensare ai paradigmi della rigenerazione urbana, sociale e psichica; al riferimento alla intelligenza emotiva, per motivare e appassionare le nuove generazioni; al metodo induttivo, per evitare approcci eterodiretti e calati dall’alto; al relazionesimo, per comprendere il bisogno di rapporti autentici e psico-dinamici; alla prossimità, per dare un senso positivo all’agire sociale e di welfare.
In foto: insieme a Don Giacomo Panizza, sacerdote antimafia e fondatore della Comunità Progetto Sud, autore di “Il dono e la città” un libro che propone una straordinaria riflessione sul ruolo sociale e politico del volontariato