Mico Geraci cadde a soli 44 anni, pagando caro il suo impegno contro le mafie. Era un politico e sindacalista appassionato e competente, un padre di famiglia serio e responsabile.
Finalmente il movente mafioso è stato suggellato grazie a un lavoro certosino di magistrati molto capaci, come Marzia Sabella, Giovanni Antoci e Bruno Brucoli, dellaProcura Antimafia di Palermo, ben guidata da Maurizio De Lucia. Il Gip Alfredo Montalto ha emesso una ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti dei mandanti, i boss Pietro e Salvatore Rinella.
Non avevamo dubbi che la responsabilità fosse della mafia! Mico Geraci voleva cambiare radicalmente la sua comunità di Caccamo. Si era legato al mio impegno per liberare il territorio pur nella lucida consapevolezza dei rischi a cui andava incontro.
Ne parlavamo spesso. La direzione da seguire era chiara: idee e progetti di legalità e sviluppo, con un dialogo aperto verso la società intriso della tensione progettuale sul futuro dell’agricoltura, mettendo al centro la costruzione di un foro boario pubblico. Si mirava inoltre alla promozione del turismo, a cominciare dall’antico Castello e dal borgo antico, oltre alla possibilità di realizzare una struttura sociale e turistica nei pressi del vicino lago artificiale, alla valorizzazione dell’artigianato, così ben radicato in quella zona, al rilancio dei servizi idrici fino a quel momento molto trascurati e all’adozione di un piano regolatore finalmente libero dagli interessi mafiosi.
Niente e nessuno poteva fermarlo, se non la morte.
Cosa nostra non poteva tollerare una presenza così dirompente in una zona che considerava sotto il suo dominio assoluto: “la Svizzera di cosa nostra”, la definì con maestria Giovanni Falcone.
Mico era pronto per fare il sindaco, aveva anche rinunciato a ricandidarsi alle provinciali, nonostante avesse fatto bene e fosse stimato e apprezzato. Il cammino durò diversi mesi. Avevamo scelto di riunirci in una bella chiesetta, messaci a disposizione da padre Scaletta, per incontrare i cittadini e realizzare così un programma partecipato e condiviso. Tutto era pronto, i tempi erano maturi. Mico Geraci e Francesco Dolce erano proposti a sindaco e vice sindaco, insieme a un gruppo di candidati e sostenitori che si allargava sempre più.
Il 30 Luglio di quell’anno si svolse una manifestazione che affermava un’idea di antimafia intransigente e legata ad un percorso di sviluppo sostenibile. Niente più omertà e silenzio! In quell’occasione feci i nomi dei boss che erano stati raggiunti da una misura della Procura Antimafia qualche settimana prima e insieme focalizzammo sia gli interessi dei boss sul territorio sia le proposte di riscatto e di emancipazione, a cui Mico Geraci nel suo memorabile intervento spiegò che teneva in modo particolare.
Mico Geraci era orgoglioso delle sue scelte. Mi parlava dei suoi figli, dei giovani di Caccamo e delle stupende potenzialità del territorio, nonostante comprendesse le difficoltà e i pericoli a cui andava incontro.
Adesso il movente mafioso del suo omicidio è stato confermato. La ricostruzione che aveva fatto il collaboratore Nino Giuffrè era attendibile: “Se Mico Geraci fosse diventato sindaco sarebbe stato, per la famiglia di Caccamo, oltremodo difficile continuare a gestire il Comune come avevamo fatto da molti decenni. Inoltre, ciò ci avrebbe indebolito anche con gli altri Comuni del mandamento”. Provenzano e i Rinella scavalcarono lo stesso Giuffrè e diedero l’incarico a due killer, Filippo Lo Coco e Antonino Canu, che poi vennero fatti fuori dalla stessa mafia.
Questo è solo un primo passo. Collusioni e responsabilità vanno anch’esse individuati, sino in fondo.