È morto. Ma la storia non finisce con il suo mesto funerale. Matteo Messina Denaro ha provato in tutti i modi ad usare i pochi mesi dopo la sua cattura per alimentare ancor di più il mito intorno alla sua storia e personalità.
Attenzione a non cadere nella trappola che ha scelto di lasciarci in eredità.
I motivi di un tale ricorso all’esaltazione sono molteplici: il primo è sicuramente quello di evitare che i Messina Denaro potessero essere surclassati da altre famiglie dai nomi ben noti. Il secondo è di evitare che i vari prestanome delle sue ingenti ricchezze potessero farsi tentare dalla possibilità di trattenersi denari e patrimoni. Non dobbiamo escludere che in lui abbia agito la paura che i potenti con cui ha condiviso stragi e segreti potessero non fidarsi più della loro antica alleanza.
Insomma, il personaggio ha provato per motivi diversi – ma sempre sporchi e mafiosi – ad usare la leva del mito per esaltare il ruolo del boss.
In verità basta riflettere un attimo per scansare il “fascino del male”. Se non fosse stato un boss sarebbe stato una mediocre personalità. Ha potuto contare sulla violenza e sulla complicità che sta dentro e alle spalle dell’organizzazione mafiosa. Un personaggio vigliacco che non ha saputo sottrarsi alla partecipazione diretta ad omicidi e stragi, sino alla cattura del piccolo Giuseppe Di Matteo, di cui tutti conosciamo la tragica storia.
Ai giovani: non c’è niente da celebrare, niente da ammirare, niente da mitizzare. Niente!
Per chi volesse approfondire, propongo un mio articolo pubblicato oggi sulla rivista telematica Thedotcultura, l’intervista rilasciata sull’argomento a RVS e la lettura delle mie circostanziate interrogazioni parlamentari.