Si torna a parlare di droga. Non sono mancate ancora una volta divisioni e strumentalizzazioni. Il Governo ha convocato la Conferenza nazionale sulle dipendenze che mancava da ben dodici anni: è un’occasione preziosa per ripensare e riprogettare il rilancio dell’approccio ai Servizi e alla prevenzione, cura e reinserimento delle persone in condizione di addiction e con patologie correlate.
La situazione è nota. Oggi abbiamo più di mille droghe che invadono la vita delle persone, sempre più di giovani e ragazzi. Non bastavano le dipendenze da sostanza, adesso dobbiamo sempre più fare i conti anche con le dipendenze comportamentali.
Come affrontare questa nuova fase della cura delle dipendenze? Come evitare che il confronto riaperto dopo anni di silenzio si limiti solo al dibattito sulla liceità o meno dell’uso delle sostanze? Come rilanciare l’esperienza di tanti operatori qualificati e di alto livello, maturata sul campo in anni di duro lavoro?
Sono passati più di trent’anni dal Testo unico. Siamo a più di vent’anni dalla legge n. 45 del 1999 che porta il mio nome, con la quale avevamo individuato un percorso inedito che ha costruito una rete dei Servizi tra le migliori del contesto europeo e internazionale. Adesso è necessario mantenere fermi alcuni punti e migliorare e qualificare altre innovazioni, in modo da consegnare al post-Covid una rete di Servizi quanto più possibile avanzata.
Saprà la politica essere all’altezza della domanda di nuova progettualità che si richiede da anni? Saprà tenersi lontana dalle semplificazioni e dagli scontri ideologici?
Bisogna allora chiamare la politica a vivere la Conferenza Nazionale con un piglio progettuale, serio e condiviso, che si può ottenere solo se si assume uno stile coprogettuale con quanti, nei Servizi Pubblici e le loro Società scientifiche, nelle Comunità Terapeutiche e nei Servizi di Prossimità con le loro Reti territoriali e nazionali, hanno maturato la capacità di ripensare strategie e modelli di intervento. Proprio sulla Rete dei Servizi va concentrato pertanto lo sforzo delle politiche pubbliche promosse dalla Conferenza Nazionale.
L’integrazione come approccio sistemico
Sulla integrazione, vorrei che si concentrasse la più qualificata attenzione, per evitare che la Conferenza nazionale sulle dipendenze di Genova diventi una grande occasione mancata.
Perché l’integrazione deve essere posta al centro della lotta alle dipendenze?
- Per curare le dipendenze non esiste una sola terapia considerata messianica, sono necessarie semmai più terapie da integrare tra di loro per investire realmente sulla personalizzazione della cura, con una presa in carico globale di chi vive il dramma della dipendenza.
- Le professionalità chiamate ad agire nella cura delle dipendenze devono essere multidisciplinari. Non bastano, ad esempio, lo psichiatra o l’educatore, è necessario prevedere anche lo psicologo, lo psicoterapeuta, l’infettivologo, il sociologo, il genetista, l’assistente sociale, il pedagogo e diverse altre figure. La legge Lumia, vent’anni fa, ha voluto questa integrazione professionale sia all’interno dei Servizi pubblici che nelle Comunità Terapeutiche e nei Servizi di prossimità.
- Nella prevenzione, cura e riabilitazione delle dipendenze, la sanità ha sempre più un ruolo centrale, così pure il sociale (soprattutto nel rapporto con le famiglie e nel momento del reinserimento lavorativo), ma anche in questo caso è necessaria l’integrazione, senza la quale si va incontro a clamorosi fallimenti.
- L’integrazione va prevista anche all’interno dei servizi sanitari, che devono essere organizzati operando un raccordo costante tra i vari momenti della cura: domiciliare, territoriale e ospedaliera.
- È maturo il tempo per strutturare operativamente quello che già la legge n. 45 del 1999 ha definito “alta integrazione” tra i Servizi pubblici organizzati dai SERD e la rete delle Comunità Terapeutiche e dei Servizi di prossimità.
È questo in sostanza il momento più propizio per fare in modo che l’integrazione diventi sistemica: più operativa, progettuale e terapeutica.
Linee guida per una riforma sistemica
Questo contesto richiede alcune scelte che stanno alla base di uno sviluppo normativo che vada nella direzione sia di una riforma sistemica del Testo unico sulla droga, sia la definizione di un Piano nazionale antidroga che individui le linee guida da consegnare alle Regioni e nei territori.
- Va ripresa la strutturale funzione autonoma, sia organizzativa che dirigenziale, dei Dipartimenti delle Dipendenze, rispetto alla salute mentale, per ridare impulso sistemico e progettuale ai vari momenti della prevenzione, cura e riabilitazione dalle dipendenze.
- Va data piena fiducia alle Comunità terapeutiche e ai Servizi di Prossimità. Sono ormai realtà di altissimo livello, che stanno sperimentando al proprio interno terapie integrate e la presa in carico globale della persona. Adesso bisogna investire con risorse consistenti sul loro operato, senza paure e pregiudizi, ma con fiducia e condivisione.
- Bisogna reinvestire sulla immissione nei Servizi dei SERD e delle Comunità terapeutiche di nuovo personale almeno pari a quello che si riuscì a inserire con la legge n. 45 del 1999, per affrontare le sfide nuove delle dipendenze sia da sostanze che comportamentali, comprese quindi quelle tecnologiche, legate al gioco d’azzardo e ai disturbi alimentari.
- Occorre investire una quota di nuove risorse finanziarie e professionali sulla ricerca da realizzare direttamente nei Servizi pubblici e accreditati, perché è stato dimostrato in questi anni che questo tipo di ricerca, attivata direttamente dal lavoro clinico degli operatori, produce risultati validi ed efficaci.
- È necessario costituire presso le Facoltà di Medicina e delle altre professioni sanitarie e sociali la tanto attesa specializzazione sulle dipendenze, in modo tale da tenere conto del cammino professionale già maturato in questi anni e stimolare una qualità professionale sempre più elevata.
- Bisogna prevedere un piano di costruzione degli spazi e della logistica dove si svolgono concretamente i servizi sia dei SERD che delle Comunità, da progettare con cura, alla luce dell’esperienza maturata, per dare anche sul piano strutturale il senso più avanzato della presa in carico della persona in modo globale e rispettoso della sua dignità e di un percorso di cura di alto livello.
- È necessario ripristinare il Fondo Nazionale sulle Dipendenze previsto dalla legge n. 45 del 1999, purtroppo non più rifinanziato. Si potrebbe utilizzare a tale scopo almeno il 30 per cento delle somme confiscate nella lotta al narcotraffico, in base al Testo unico sulla droga.
- Va rivista la governance istituzionale delle dipendenze per riconoscere un ruolo più significativo alle Reti sia delle Società Scientifiche sia delle Comunità terapeutiche accreditate.
- Il rilancio dei Servizi va inquadrato nel problema della “doppia diagnosi”, che richiede sia una più complessa e sofisticata organizzazione dei Servizi sia un salto di qualità nell'”alta integrazione”.
- Vanno messi a fuoco progettualmente due ambiti particolari, su cui si gioca una parte rilevante sia della cura sia dell’impatto sociale del sistema dei Servizi pubblici e dell’alta integrazione. Mi riferisco al rapporto con il carcere e alla fase del lavoro, nel senso di fare in modo che le migliori pratiche siano tradotte in protocolli operativi e risorse certe.
So bene che non sarà facile imboccare la strada dell’integrazione e della progettualità. So anche che è tempo ormai di fare scelte sul tema della legalizzazione, visto anche l’incalzare del referendum proprio sulla legalizzazione della cannabis. So inoltre che il contesto su cui agire efficacemente è sempre più quello europeo. So tuttavia, infine, che sulle dipendenze bisogna dare il meglio che una società sa esprimere.