Il 10 Giugno del 1924 il nefasto fascismo, guidato dal dittatore Mussolini, consuma un ulteriore delitto, che segna un’ulteriore tappa del suo cammino verso la presa totalitaria sulle istituzioni e sulla società.
A Roma, sul Lungotevere, la mattina di quell’assolata giornata estiva, viene rapito con una violenza inaudita Giacomo Matteotti, un prestigioso leader socialista che stava svelando di quali “lacrime e sangue” si nutriva il potere fascista.
Nei pressi di casa sua, Matteotti viene picchiato e sbattuto in macchina, portato fuori alla Capitale, dove il suo corpo viene straziato, e poi ucciso e sepolto.
Si tratta di una sorta di “cronaca di un delitto annunciato”. Il fare concreto e il dire esplicito del leader socialista risultava intollerabile ad un Mussolini che avanzava lungo la rotta dell’assoggettare il Parlamento, del silenziare l’opposizione e del piegare e intimidire la società italiana.
In quel nostro Paese di inizio del Novecento ribollono ideali, idee e progetti di cambiamento. Ci si interroga sulle povertà estreme, sui percorsi di emancipazione, sulla innovazione economica, sulla democratizzazione delle istituzioni, sul ruolo della politica e della cultura nella selezione della classe dirigente e sulla guida delle realtà territoriali e mondiali.
Matteotti, sin da ragazzo, è immerso in queste intemperie dell’avvio del “secolo breve”.
Abbandona presto gli agi della sua famiglia, che gli avrebbero consentito un percorso elitario, benestante e garantito, per scegliere la strada tutta in salita dell’affermazione di un altro modo di pensare e agire: il modello socialista.
Insieme ai suoi due fratelli, abbraccia questa fede nell’emancipazione delle classi popolari. Si dedica anima e corpo a studiare come meglio aiutarle e sostenere la crescita del movimento, che dal basso cresceva giorno dopo giorno con un avvolgente respiro mondiale.